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Anna Ardu

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Italian

ABSTRACT

Over the last few years, a new and interesting theory has located the port of the ancient city of Tharros (Central-Western Sardinia) in the area of the Mistras lagoon, nowadays completely unsuitable for such a purpose for a number of reasons. This new perspective, if substantiated by research, would explain why the localization of the seaport of the city of Tharros has been so uncertain so far.

In this paper, the author shows the results of underwater and terrestrial surveys carried out in the area of the lagoon in the last years. She compares them with geomorphologic and historical evidence in order to analyse and discuss the possibility that the past geographical traits of the region could have made it suitable for hosting an active port until the VI century AD.

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INTRODUZIONE

Grazie a nuovi dati acquisiti negli ultimi anni si aprono finalmente nuove prospettive per quanto riguarda la localizzazione del porto di Tharros, l’antica città di fondazione fenicia sorta nel promontorio che chiude a Nord il Golfo di Oristano, lungo la costa centro-occidentale della Sardegna (Spanu and Zucca 2010). Le indagini, avviate nel 2008, sembrerebbero indicare che il porto fosse situato all’interno della laguna di Mistras, dove ripetute ricognizioni subacquee hanno premesso di localizzare strutture litiche riferibili a strutture portuali e un’area definita 'κεραμεικός' per la grande quantità di frammenti di vasellame e di scarti di lavorazione (Spanu e Zucca 2010:58-59).

Il fatto che la stessa area sia localizzata nell’immediato entroterra della necropoli fenicia settentrionale di Tharros costituirebbe un dato importante ai fini dell’interpretazione delle nuove emergenze archeologiche quali elementi di una struttura portuale, in un’area solo apparentemente distinta e lontana dai resti archeologici della città di Tharros finora messi in luce. Nel proseguo delle ricerche non si esclude pertanto che possa essere individuato un ipotetico insediamento connesso con la necropoli settentrionale e nello stesso tempo con l’area portuale, come pure altre strutture, come per esempio santuari, cantieri adibiti alla riparazione delle imbarcazioni, aree di carico e scarico merci o altre costruzioni utili all’attività commerciale.

Nel presente contributo verrà inizialmente presentato il contesto ambientale rappresentato dalla laguna di Mistras, per poi prendere in esame i dati archeologici, le modalità della loro acquisizione e la loro interpretazione alla luce di alcune problematiche essenziali, quali l’interrelazione tra genti del Vicino Oriente e le comunità nuragiche, la tradizione ingegneristica e architettonica levantina utilizzata dai Fenici nella creazione digli impianti portuali e l'abbandono del sito di Tharros in età tardo antica a causa di fenomeni di interrimento che hanno reso impraticabili gli scali marittimi. 


CONTESTO AMBIENTALE

La laguna di Mistras si trova nel settore settentrionale dell’ampio golfo di Oristano e ha una superficie di 450 ettari. Essa risulta confinante a nord con lo stagno di Cabras, da cui è separata da un ampio cordone dunario. La laguna, compresa tra Capo San Marco e San Giovanni di Sinis a sud-est e Torre Grande ad est, ha una forma stretta e allungata e si sviluppa parallelamente alla costa. La sua origine è da mettere in relazione con l’emersione di alcuni cordoni sabbiosi che hanno racchiuso tratti di mare (Camboni 1995).

L’area stagnale è separata dal mare da questi depositi sabbiosi che si interrompono in corrispondenza della bocca a mare della Peschiera che assicura un discreto ricambio idrico, anche se durante i periodi estivi l’acqua marina stenta ad entrare dentro l’area lagunare con conseguente aumento della salinità in estate e un abbassamento del fenomeno in inverno. Nel settore occidentale le acque possono raggiungere il metro e mezzo di profondità, mentre il settore orientale di rado supera i 50 cm ed è fortemente soggetto al prosciugamento estivo.
Nella laguna vi sono due bacini, quello occidentale detto di 'Sa Mistraredda' e quello orientale più ampio di 'Sa Mistra Manna' (Fig. 1).
 
Fig. 1 - Fotografia aerea della laguna di Mistras (Fotografia d F. Cubeddu).
 

Essa risulta parzialmente chiusa dai cordoni litoranei di Mari Mottu (l’area interna del Golfo di Oristano a ridosso della città di Tharros) e Su Siccu; è limitata verso terra dalle calcareniti del paleo cordone litorale e nella sua zona occidentale si rileva la presenza di una estesa area umida a sommersione temporanea (Forti and Orrù 1995: 4-5). Il settore meridionale della laguna è rappresentato da aree per il momento sommerse e delimitate, verso il golfo, dal cordone sabbioso di Mare Morto, con scarso sviluppo altimetrico fino a ridosso dell’area archeologica di Tharros. All’interno di questa laguna sono presenti aree di esondazione in zone depresse temporaneamente sommerse che creano un sistema di piccoli stagni accessori, la cui morfologia è condizionata dai lembi residuali della copertura calcarenitica che delimita queste aree a nord e spesso affiora all’interno.

La circolazione nel sito è spesso resa difficoltosa e sovente compromessa in periodi di condizioni meterologiche avverse, in particolare in presenza di fenomeni piovaschi prolungati. Sebbene sia prematuro proporre oggi valutazioni conclusive, per la mancanza di dati documentari ampi e sistematici, se il porto di Tharros è da cercare a Mistras, è assolutamente da escludere che la situazione attuale fosse tale anche in passato.


LE INDAGINI ARCHEOLOGICHE

Le ricerche sistematiche e i saggi di scavo subacquei e terrestri recentemente avviati nella laguna stanno rivelando la presenza di un contesto archeologico eccezionale, protetto e ben conservato dalla spessa coltre di limi fangosi che caratterizzano il fondale. Anche se le condizioni anossiche garantite dal substrato limoso dovrebbero favorire la conservazione di materiali organici, come per esempio i manufatti in legno, finora i ritrovamenti riguardano esclusivamente strutture litiche e materiali ceramici. Sorprendono la vastità del deposito archeologico e la varietà di reperti sparsi e disseminati sul fondale, caratterizzati in particolare da resti di anfore commerciali, coppe, olle e brocchette che abbracciano un ambito cronologico piuttosto ampio e spesso di difficile datazione a causa dello stato di fluitazione dei materiali. Le aree di accumulo di materiali ceramici potrebbero essere considerate come settori di discarica, ma è anche possibile che siano state trasportate e ammucchiate in alcune zone dalla corrente.

Fra i giorni 21 e 30 settembre 2009 la scrivente ha avuto modo di partecipare ad un saggio di scavo di 2 x 2 m, diretto dal Dr Paolo Bernardini, effettuato nell’area intermedia fra la linea di costa orientale odierna del bacino occidentale della laguna, raggiungendo una profondità massima di circa 80 cm (Fig. 2; Ardu 2010: 92-94). I risultati sono di una certa rilevanza, poiché consentono per la prima volta di analizzare una stratigrafia, per quanto estremamente limitata nello spazio e nell’estensione, dell’interrimento di Mistras. La sequenza stratigrafica evidenza un alternanza di strati sabbiosi per lo più sterili con altri stati ricchi di materiali ceramici. I materiali archeologici, in prevalenza anforacei, si datano fra il 600 e il 400 a.C., con una discreta concentrazione tra il 550 e il 450 a.C. e con una forte prevalenza di anfore fenicie e cartaginesi. Sono presenti, anche se in scarsa quantità, vasi di dimensioni più piccole come coppe e brocche. Nello strato di base raggiunto dallo scavo i materiali ceramici sono associati a resti malacologici, tra i quali va notata in particolare la presenza di due specie appartenenti alla famiglia dei gasteropodi: la monodonta turbinata (conosciuta volgarmente col nome di lumaca di mare) e la patella cerulea che possono sopravvivere esclusivamente in zone litoranee tra gli scogli: è evidente che siamo di fronte ad un ambiente marino piuttosto che lagunare. L’esame dei dati stratigrafici e del contenuto malacologico ha dunque evidenziato situazioni morfologiche incompatibili con la situazione attuale.
 
Fig. 2 - Saggio di scavo stratigrafico del 2009 (Fotografia di Anna Ardu).


L’indagine si è estesa successivamente all’interno della laguna, nell’area di Sa Mistra Manna, dove è localizzata una struttura, nota già da tempo (Spano 1851: 179-180, nota 4). Essa ha uno sviluppo di quasi 200 m, con orientamento sud/ovest-nord/est. L’opera è composta da un doppio paramento di blocchi a forma di parallelepipedo in arenaria, ben squadrati e regolarmente allineati, in tangenza sul lato lungo e in alcuni casi posti di taglio (Fig. 3). I blocchi squadrati misurano da 0,90 a 1, 20 m in lunghezza e da 0, 40 a 0,60 m in larghezza (Del Vais et al. 2008). A tutt’oggi non è assolutamente certa l’interpretazione funzionale di quest’opera: la disposizione dei conci a taglio sembra ricalcare una consuetudine tipicamente levantina, quella appunto dei moli frangiflutti spesso finalizzati alla difesa in terraferma dell’area portuale. La tecnica di giustapporre grandi blocchi di arenaria di taglio senza cemento ha radici molto antiche e si spiega con la necessità di limitare i danni creati alle strutture portuali dall’ostruzione delle darsene tramite accumulo di sedimenti fangosi; questo fu, infatti e fin da tempi assai remoti, uno dei problemi maggiori al quale l’esperienza dei costruttori tentò di porre rimedio attraverso un accorto posizionamento di banchine e di barriere frangiflutti edificate tramite l’impiego di blocchi lapidei posti a taglio (Blackman 1982: 79). 
 
Fig. 3 - Struttura a doppio paramento (Fotografia di Anna Ardu).


L’impiego di questa tecnica è stata riscontrata nei porti fenici dell’Età del Ferro di Tabbat-el Hamman in Siria e Athlit in Palestina (Frost 1972). Molto significativo è il caso di Athlit che si trova a 20 Km a sud di Haifa: il sito si trova nei pressi di un promontorio che delimitava due insenature, e un percorso pavimentato doveva fungere da collegamento tra l’insediamento ed il porto. Come sembrano suggerire i dati archeologici, si può istituire un parallelo tra i citati esempi di tecniche edilizie portuali fenicie, ascrivibili cronologicamente ad un periodo compreso tra la tarda età del Ferro e l’alto Arcaismo, e quelli della tarda età del Bronzo come Dor. L’antichissima città cananea, circa 30 Km a sud di Haifa, è menzionata per la prima volta nel XIII sec. a.C. e successivamente anche nel racconto di Wenamon intorno al 1100 a.C: il suo porto era compreso tra due lagune poco profonde, una a nord e l’altra a sud che hanno reso testimonianza di 3000 anni di storia (Raban 1985). In entrambi i casi si è potuta riscontrare la presenza di banchine edificate mediante l’impiego di elementi lapidei di forma rettangolare delimitati da un’area lastricata in arenaria.

Anche a Mozia, isoletta interna dello stagnone di Marsala, sono presenti i resti sommersi di un antica strada, in blocchi calcarei, che prima della scoperta delle strutture di Mistras, si pensava fosse un unicum 'archeologico', questa collega la Porta Nord del circuito murario cittadino con la costa antistante (Fig. 4), attraversando il tratto settentrionale dello Stagnone di Marsala, in prossimità di Birgi, dove la necropoli lambisce la strada (Benassi et al. 2008).
 
Fig. 4 - Confronto tra la strada di Mozia (TP) (da Benassi et al. 2008), e la struttura sommersa di Mistras (Fotografia di Anna Ardu).


Si può ipotizzare a questo punto quale fosse la funzione della struttura tharrense. Le fonti, sia letterarie che iconografiche, testimoniano come nell’antichità, una volta superato il problema del sicuro ancoraggio, lo sbarco a terra delle merci e dei passeggeri poteva essere effettuato con varie modalità. Principalmente si operava tramite l’ausilio di piccole imbarcazioni di collegamento, che venivano collocate sul ponte della nave, oppure trainate dalla stessa (Hockmann 1988: 100-109); ma spesso ci si adattava anche a procedere a piedi, camminando su bassi fondali. La presenza di pontili di legno (Blackman 1982: 84, fig. 5), simili a quelli esistenti ancora oggi in molti porti pescherecci del Mediterraneo, doveva essere una delle maggiori comodità a disposizione degli antichi navigatori che frequentavano le coste della Sardegna; di tali forse erano presenti nello stagno di Santa Gilla a Cagliari (Vivanet 1893: 255-258).

Non conoscendo la morfologia del sito in epoche tanto remote si può pensare anche che la struttura a doppio paramento fosse stata realizzata per creare una strada necessaria per il collegamento tra rive opposte. Si potrebbe ragionevolmente pensare ad una via di comunicazione funzionale al sostegno di un pontile, ossia di un punto di ormeggio prossimo alla baia sabbiosa, oppure un argine finalizzato alla parziale chiusura del bacino per scopi diversi, o legati al ricovero delle imbarcazioni in una zona riparata, o in funzione delle diverse pratiche legate ai traffici commerciali.

Anche il collegamento di isolotti alla terraferma mediante l’erezione di barriere semi sommerse e banchine rappresenta una consuetudine documentata sia sulla costa siro-palestinese che nel Nord Africa fenicio e romanizzato. I grossi moli artificiali venivano in genere edificati in epoca romana e in ambiente di mare aperto, dove la violenza dei marosi, oltre ad essere ostacolata dai muri 'pieni', doveva trovare un’ uscita attraverso  un passaggio o degli sbocchi, aperti alla base delle strutture (Blackman 1982).In un’area lagunare come quella di Mistras, protetta naturalmente dalle mareggiate, questi accorgimenti sarebbero stati del tutto superflui.

Un’altra struttura di un certo interesse è stata individuata dalla scrivente durante una prospezione subacquea a circa 20 metri dalla riva, lungo la sponda orientale dell’insenatura settentrionale dello stagno di Mistras (Sa Mistraredda), dove sono stati rinvenuti una serie di blocchi rettangolari allineati e ben squadrati, i più grandi lunghi circa 1 m e larghi circa 0,6 m (Fig. 5). I blocchi in arenaria eolica sono allineati di testa e di taglio, e si presentano, accostati gli uni agli altri in modo accurato e disposti regolarmente, la struttura ha forma pressoché trapezoidale e si estende in lunghezza per circa 10 m. Sarebbero necessari ulteriori saggi subacquei per verificare se parte della struttura sia sepolta sotto lo strato di limo. Si può ipotizzare che si trattasse di una banchina di alaggio per il ricovero e la manutenzione di piccole imbarcazioni, destinate anticamente alla navigazione in bassi fondali. Questa piccola flotta, sgravava del carico le grandi navi da trasporto, che sostavano temporaneamente alla fonda, i prodotti commerciali, venivano così caricati sui carri, e trasportati presso i mercati cittadini. La grande abbondanza di frammenti fittili, rinvenuti presso la banchina documenta la forte valenza commerciale di quest’area, la particolare incidenza di anfore da trasporto, non ci fornisce purtroppo indicazioni sul tipo di commercio marittimo al quale dovesse essere legato questo scalo. E’ ipotizzabile che le merci fossero prodotti cerealicoli, vino o anche metalli estratti dal Montiferru, oppure, soprattutto per il periodo punico, prodotti artigianali di lusso come i famosi scarabei in diaspro di produzione tharrense.
 
Fig. 5 - Sa Mistraredda, banchina sommersa (Fotografia di Anna Ardu).


Tra i materiali, oltre a frammenti di ceramica comune e anfore di epoca punica e romana, sono da segnalare alcuni frammenti di ceramica a vernice nera di imitazione attica: tra questi uno attinente ad una forma aperta, probabilmente una coppa, molto fluitato che presenta una decorazione con stampigli a palmetta databile tra il 310 e il 270-265 a.C prodotta dall’Atelier des Petites Estampilles (Morel 1969; Fig. 6). Se per il momento non si può avanzare una lettura certa delle strutture subacquee, la rilevanza indiscutibile di tali indizi giustifica il sorgere di alcuni interrogativi circa la reale estensione del territorio dell’insediamento tharrense.
 
 
Fig. 6 - Frammento di ceramica in vernice nera dell’Atelier del Petites Estampilles (Fotografia di Anna Ardu).



LA RICOGNIZIONE TERRESTRE: IL SITO DI PREISINNIS

Al fine di avere una maggiore comprensione del contesto archeologico, nella primavera del 2010 l’indagine è stata estesa da parte della scrivente anche lungo la fascia terrestre adiacente la laguna, in particolare nell'area corrispondente al toponimo di Preisinnis, ubicata tra la strada provinciale San Giovanni-Cabras e la costa ovest della laguna di Mistras. La zona è caratterizzata da una morfologia prevalentemente tabulare e sub pianeggiante, nella parte adiacente la laguna abbiamo vegetazione naturale alofila palustre. I terreni agricoli si sono formati sui conglomerati marini e occupano le aree di retroterra della laguna. Negli orizzonti intermedi si trova spesso un ambito petrocalcico, che ostacola le lavorazioni e può limitare la permeazione dell’acqua, per questo viene spaccato con gli scassi del terreno e irrorato tramite irrigazione artificiale, l’area è sfruttata attualmente per la coltivazione del melone e del carciofo. Sfortunatamente, numerosi materiali lapidei di rilevanza archeologica vengono normalmente estratti e gettati ai margini dei terreni, compromettendo irrimediabilmente il loro contesto.

Durante una prima ricognizione la scrivente ha individuato presso un campo appena arato un altarino in basalto, della lunghezza di circa 60 cm, di forma emisferica con due scanalature laterali (Fig. 7). Il reperto è apparentemente fuori contesto e la sua forma è riconducibile per confronti e tipologia alla cultura fenicio-punica piuttosto che a quella nuragica (Tore 1992). Durante il mese di agosto 2011 una nuova ricognizione ha evidenziato alcune concentrazioni di reperti in superficie nell'area: i manufatti ceramici e litici, insieme a frammenti di tegole e coppi,  rinvenuti attestano una frequentazione dell’area dalla fase nuragica a quella tardo-antica (Fig. 8; Conte 2011). I blocchi di basalto e arenaria, probabilmente posizionati ai margini del campo dagli stessi contadini durante l’aratura, provenivano forse da strutture di epoca incerta. Il materiale ceramico di fase punica appare prevalente e suggerisce una probabile occupazione stabile o frequentazione dell’area a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C., i materiali di epoca romana indica che il sito era ancora frequentato alla fine del V sec. d.C. Tra i materiali litici si segnala la presenza di schegge di ossidiana rossa e nera (Fig. 9) e un frammento di testa di mazza in arenaria (Fig. 10) presumibilmente di età nuragica.
 
Fig. 7 - Altarino fenicio-punico da Preisinnis (Fotografia di Anna Ardu).
 
Fig. 8 - Immagine dell’area oggetto della ricognizione presso Preisinnis (Fotografia di Anna Ardu).
 
Fig. 9 - Frammenti di ossidiana (Fotografia di Anna Ardu).
 
Fig. 10 -Frammento di testa di mazza (Fotografia di Anna Ardu).
 
 
Tra i materiali di fase punica, oltre a vari frammenti di anfore, sono stati rinvenuti alcuni frammenti di ceramica da fuoco (Fig. 11), un frammento di piede di balsamario (Fig. 12), e 8 frammenti di ceramica a vernice nera che attestano la frequentazione stabile del sito dalla metà del IV secolo al II secolo a.C. Di particolare interesse un frammento di parete in vernice nera sovradipinta, inquadrabile in un arco cronologico compreso tra la fine del IV e il III secolo a.C. (Fig. 13; Stanco 2009).
 
Fig. 11 - Prese di coperchio puniche (Fotografia di Anna Ardu).
 
Fig. 12 - Piede di balsamario punico (Fotografia di Anna Ardu).
 
Fig. 13 - Frammento di ceramica a vernice nera sovradipinta (Fotografia di Anna Ardu).


Tra i materiali di epoca romana, sono stati presi in considerazione quelli più significativi e facilmente databili tra cui frammento di orlo di coppa in sigillata africana A del tipo Lamboglia 7a, che presenta decorazione a rotellatura, databile tra il 69/96-100/200 d.C. (Fig. 14; Lamboglia 1950). Da segnalare anche la presenza di Terra Sigillata Africana D, rappresentata da un fondo di piatto, con decorazione a cerchi concentrici e palmetta inquadrabile in un arco cronologico compreso tra il 350 e il 500 d.C. (Fig. 15). Il sito di produzione si trovava in Tunisia in Zeugitana, nelle officine di Sidi Jdidi che forniscono produzioni in stile decorativo A-iii (Bonifay 2004: 190).  Per la fabbricazione di questi manufatti viene utilizzato un impasto particolare di qualità (Samo TYPE 39). Il piatto appartiene probabilmente alla forma 61C di Hayes (1972).
 
Fig. 14 - Orlo di coppa in sigillata africana A (Fotografia di Anna Ardu).
 
Fig. 15 - Fondo di piatto in sigillata africana D (Fotografia di Anna Ardu).


OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Sulla base dell'evidenza sin qui descritta, si può affermare che l'area lagunare di Mistras, con le serie di blocchi squadrati e con il materiale ceramico anforaceo riferibile perlopiù a contesti di età fenicio-punica e romana, ebbe verosimilmente una 'destinazione portuale', in un contesto geografico che oggi risulterebbe del tutto inadatto a questo scopo (Auriemma et al. 2008: 139). Probabilmente, l’occlusione della laguna fu causata dalle esondazioni del fiume Tirso che portarono una grande massa di detriti verso la costa; il fenomeno dovette accompagnarsi a forti fasi di moto ondoso dal mare al cui riflusso è probabilmente imputabile la formazione del cordone che chiude la laguna. A livello del mare, le azioni fluviali devono aver interferito con quelle costiere e ai sedimenti alluvionali si devono essere aggiunti quelli marini, causando conseguenti interrimenti. Questi forti fenomeni di subsidenza sono diffusi in aree di geosinclinale dove l’attiva sedimentazione produce imponenti serie detritiche e il bacino si abbassa simultaneamente alla deposizione e l’accumulo dei sedimenti: un fenomeno abbastanza riconoscibile in zone deltizie e lagunari.

Sono stati ricostruiti dei periodi più freddi e più piovosi dell’attuale, denominati piccole età glaciali, durante i quali si sono verificate catastrofiche modificazioni delle aree costiere, con rapide variazioni della linea di costa e la conseguente colmata di preesistenti aree umide che ha portato alla formazione di nuove lagune costiere (Caiazza et al. 2008); è stata sottolineata l’esistenza di importanti cambiamenti climatici intercorsi tra il  500 e il 700 d.C., periodo in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura nell’emisfero boreale - esso è definito dagli studiosi Piccola Età Glaciale Alto Medievale (Keys 2000). Diverse fonti antiche parlano a questo proposito e per questi tempi di eventi catastrofici (Procopio di Cesarea, 4.14.5; Wachsmuth 1897; Giovanni di Efeso come riportato nella cronaca di Michele il Siriano; Cassiodorus).

Questi cambiamenti potrebbero essere stati ipoteticamente causati da un fenomeno noto come 'inverno vulcanico': un fenomeno naturale di vaste proporzioni, causato da una massiccia eruzione, un’esplosione che proiettò nell’atmosfera miliardi di tonnellate di polveri e ceneri, tali da oscurare il sole per diciotto mesi e procurare a livello planetario sconvolgimenti climatici che durarono per 60 anni, cui seguirono pestilenze e alluvioni. Studi significativi a questo riguardo sono stati effettuati sulla base di analisi dendrocronologiche: uno di questi studi, prodotti dalla Queens University di Belfast, ha confermato che gli anelli di albero analizzati dimostravano un arresto della crescita nel 536, con un altro brusco calo nel 542 d.C., dopo un parziale recupero; questo fenomeno perdurò per 15 anni e fenomeni analoghi vennero registrati in diverse parti del mondo con i medesimi risultati (Baillie 1995: 93).

Notizie storiche, infine, riferiscono di un periodo di dissesto idrogeologico, con probabile durata di un secolo, dopo la metà del VI sec. d.C: in particolare può essere qui ricordato l’episodio del 'diluvio' citato da Paolo Diacono nella Hystoria Longobardorum (II, 23 e IV, 2) e certamente collegato ad un deterioramento ambientale con forte piovosità, ma anche a una situazione di generale degrado del territorio.

E’ forse in questo scenario che la laguna di Mistras subisce le sue radicali modifiche? Allo stato attuale delle ricerche, è difficile giungere a conclusioni definitive, e le ipotesi avanzate in questo lavoro andranno approfondite nel proseguo degli studi. In questa prima fase di elaborazione dei dati è stata posta particolare attenzione all’interpretazione di talune specifiche evidenze archeologiche che in questo contesto operativo assumono il ruolo di veri e propri indicatori per la ricostruzione di un possibile trend evolutivo del paesaggio costiero del territorio in esame.                          


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